Scuola Professionale “Regina Elena” di Pistoia

Genere, lavoro e cultura tecnica tra passato e futuro

Scuola Professionale “Regina Elena” di Pistoia

Pochi sono i fondi d’archivio di scuole professionali femminili ancora conservati. Riveste quindi un’importanza particolare quello (depositato presso l’Archivio di Stato di Pistoia) della scuola professionale femminile “Regina Elena”, fondata nel 1925 e chiusa appena cinque anni dopo. Un fondo cronologicamente limitato ma ricco di spunti per lo storico dell’educazione grazie al materiale conservato: programmi, registri di classe, tracce delle prove d’esame, prospetti orari, temi delle alunne.

L’istituto, che poté contare sui fondi e sui locali di tre istituzioni dedite all’assistenza di ragazze povere (il Conservatorio delle Crocifissine, le Scuole Leopoldine e l’Istituto delle Abbandonate), non riuscì mai a ottenere sussidi dal governo di Roma che, nonostante i proclami a favore dell’istruzione per “la futura donna di casa”, dimostrava di favorire, nella pratica, le scuole maschili cittadine – ovvero la scuola d’avviamento “Vittorio Emanuele III” e la scuola professionale “Antonio Pacinotti”, entrambe sovvenzionate dal ministero.

Grandi però erano state le speranze che una regolarizzazione dello status potesse giungere in pochi anni. Fin da subito l’istituto fu conformato alle direttive ministeriali: la durata del corso venne posta a tre anni, mentre l’ammissione fu concessa a chi aveva frequentato la sesta elementare. Italiano, storia, geografia, matematica, economia domestica, scienze, educazione fisica, disegno, cucito, maglia e sartoria erano le discipline impartite. Una vasta opera di pubblicità fu portata avanti nei primi mesi dall’apertura. Ottenne qualche risultato? Si e no. Nel 1925 ci furono 46 iscritte; nel 1926, 69. Ma presto l’effetto novità si spense: e allora le iscritte discesero a 56 nel 1927 e a 51 nel 1928.

Ma che tipo di alunne sceglievano di frequentare il “Regina Elena”? I manifesti della scuola promettevano l’esonero dalle tasse per chi era dotato del certificato di povertà; ma solo due famiglie se ne avvalsero – quella di uno spazzino comunale con moglie e sette a carico e quella con un falegname per capofamiglia. Le altre studentesse di cui abbiamo notizia erano figlie di impiegati, commercianti, medici. Anche il fatto che tutti i genitori sapessero apporre la propria firma nel registro apposito costituisce un segnale chiaro della provenienza sociale delle alunne.


Bibliografia

  • M. Vazquéz Astorga, Le scuole Leopoldine di Firenze e la loro storia (1789-1976), ACF, Firenze, 2019.
  • M. D’Alessio, «La vita delle 28» nella scuola superiore femminile fascista di economia domestica (1942). Per una rilettura di un’esperienza formativa di omologazione culturale e sociale, «Rivista di storia dell’educazione», 1 (2019), pp. 17-31.
  • C. Ghizzoni, Le scuole serali e festive superiori del Comune di Milano fra socialismo e avvento del fascismo, «HECL», 2 (2012), pp. 281-320.