Donne al lavoro alla SMI: dall’età liberale al fascismo

Genere, lavoro e cultura tecnica tra passato e futuro

Donne al lavoro alla SMI: dall’età liberale al fascismo

La Società Metallurgica Italiana si insediò sulla montagna pistoiese a fine ’800, rilevando due stabilimenti a Limestre e Mammiano e costruendone nel 1910 uno a Campo Tizzoro, a cui si affiancherà un villaggio operaio. In tutti e tre gli impianti la presenza femminile fu un dato caratterizzante (il 29,7% nel 1911). Le “robuste donne” della montagna, abituate al duro lavoro agricolo, erano adatte all’impiego industriale e costavano poco. Venivano concentrate in reparti specifici, garantendo la separazione fra i sessi, per svolgere mansioni considerate “da donne”, ovvero più faticose e meno qualificate. La divisione in solo due categorie, maestre e operaie, a dispetto della più articolata professionalizzazione maschile, segnala di per sé il disconoscimento del loro lavoro, non preceduto da nessuna forma di formazione professionale, che si acquisiva sul campo.

Nel primo ventennio le operaie furono di norma giovanissime ed uscivano dalla fabbrica col matrimonio o il primo parto. Ma tra i motivi che le spingevano a farsi assumere già si intravedevano elementi di modernizzazione, come la possibilità di abbandonare i lavori tradizionali: servizio a domicilio, lavandaie, braccianti. La guerra segnò un aumento delle operaie, poi espulse nel dopoguerra. Anche alla SMI esplose la conflittualità del Biennio rosso, piegata dalla riaffermazione del potere padronale degli Orlando ad opera del fascismo.

Negli anni del Regime le donne tornarono ad aumentare (il 37,4% nel 1935). Tuttavia non si trattava più di giovanissime. Aumentarono le donne sposate, l’età media salì ed anche il periodo di permanenza si allungò. Apparirono le impiegate: scrivane, dattilografe, portinaie, magazziniere. Alcune lavoravano come “marcatempo” dei cottimi e contabili, altre erano caposquadra. Data al 1942 la prima assunzione di un’impiegata tecnica, dottoressa in chimica. Le donne continuarono a lavorare in tutta le fasi della produzione, ma alcune entrano come assistenti nei laboratori di chimica e fisica. L’officina invece restò il regno maschile degli operai specializzati. Le donne lavoravano al laminatoio, alle trafile, al confezionamento e lavaggio delle munizioni. Mansioni faticose, insalubri, pericolose e poco ambite, mentre I salari restarono diseguali. Nel ’24 un’operaia guadagnava tra il 60 e il 47% di un operaio.

L’orientamento di genere informava anche i corsi nella scuola professionale della SMI. Le donne studiavano taglio, cucito ed economia domestica, ma arrivarono anche i primi corsi di tedesco, stenografia, attività sportive e musicali. Si sviluppò la consapevolezza di uno status che prometteva un miglioramento della propria condizione e il rigetto di altri lavori femminili, primo fra tutti il servizio domestico.


Bibliografia

  • L. Savelli, L’industria in montagna. Uomini e donne al lavoro negli stabilimenti della Società Metallurgica Italiana, Firenze, Olschki, 2004.
  • R. Lenzi, Campo Tizzoro e la Società Metallurgica Italiana. L’utopia di un paese fabbrica (1910-1945), Pistoia, ISRPt, 2019.
  • R. Prioreschi, Campo Tizzoro. Antologia dei 100 anni, Pistoia, Agricom.