Le cooperative industriali e le maestranze femminili

Genere, lavoro e cultura tecnica tra passato e futuro

Le cooperative industriali e le maestranze femminili

Le cooperative rappresentano un modello imprenditoriale differente da quello prevalente e tradizionale. Legate a valori progressisti, in generale hanno contribuito alla decostruzione degli stereotipi di genere, soprattutto attraverso percorsi inclusivi di donne socie o donne lavoratrici. Il caso delle cooperative industriali è interessante, perché si tratta di un contesto peculiare, in quanto fabbriche autogestite dalla manodopera.

Nell’Italia degli anni cinquanta e sessanta, in molte cooperative del settore manifatturiero lavoravano come operaie diverse donne e talvolta avevano fatto un corso preliminare organizzato dal movimento cooperativo. Un caso interessante è quello della Cooperativa metalmeccanica centese, fondata nel 1965 a Cento, paese in provincia di Ferrara, al confine con quelle di Modena e di Bologna.

In quel periodo storico, a seguito del rallentamento della crescita originata dal miracolo economico si ebbe una congiuntura negativa, con il licenziamento di diversa manodopera nel settore manifatturiero. E così nel comprensorio di Cento, alcuni di questi operai rimasti senza lavoro si riunirono in una cooperativa, iniziando a produrre portoni, cancellate e corrimani. Quattro mesi dopo, usufruendo della consulenza del Consorzio delle cooperative di produzione e lavoro della provincia di Ferrara, la Cooperativa metalmeccanica centese iniziò a fabbricare rulliere e trasportatori a nastro o di altro genere.

La maggior parte delle maestranze era composta da donne, come anche ben mostrano le fotografie dei reparti produttivi, mentre erano uomini il presidente e il vicepresidente, e cioè Giovanni Cavicchi e Sergio Malaguti, esponenti di quel piccolo nucleo di soci fondatori che aveva avviato l’attività. Anche grazie al lavoro delle operaie, lo sviluppo della cooperativa fu impetuoso, raggiungendo nel giro di poco tempo una cinquantina di addetti e un fatturato originato da vendite a clienti sparsi in dieci regioni differenti.

Grazie al suaccennato Consorzio e alla Federazione provinciale delle cooperative, molte operaie frequentarono un corso di formazione che prevedeva tre step. Il primo era quello di carattere politico, a ricordare che l’impresa cooperativa – insieme con il sindacato e con il partito – era parte di un progetto complessivo di trasformazione della società, con l’obiettivo del superamento del capitalismo. Il secondo, invece, faceva più diretto riferimento all’identità cooperativa, ovvero si spiegava in quali aspetti queste imprese erano diverse da quelle tradizionali, che valori esprimevano e praticavano, e quali erano le funzioni e i doveri dei soci. Il terzo, infine, era relativo alle conoscenze tecniche e pratiche, e quindi volto a istruire le operaie sul lavoro che sarebbero andare direttamente a svolgere.

La Cooperativa metalmeccanica centese chiuse i battenti nel 1969, quando fu avviato un processo di liquidazione coatta amministrativa. All’origine delle difficoltà non c’erano problemi di carattere produttivo o commerciale, bensì una inefficienza complessiva del ciclo di fabbricazione che aveva determinato un aumento importante dei costi, a fronte di introiti non sufficienti a coprirli. Le operaie perdettero il lavoro, ma furono in parte riassunte in altre aziende del distretto meccanico centese.

Il percorso di quest’impresa è esemplificativo di un contesto che negli stessi anni vide diverse altre cooperative industriali assumere manodopera femminile e avviare analoghi corsi di formazione.


Bibliografia

  • L’audacia insolente. La cooperazione femminile, 1886-1986, Venezia, Marsilio, 1986
  • La presenza delle donne nelle aziende cooperative in Emilia-Romagna, Bologna, Lega delle Cooperative, 1987
  • T. Menzani, Passato prossimo. Storie di ieri, sguardi sull’oggi e progetti per il domani del movimento cooperativo ferrarese, Bologna, Clueb, 2019