Genere, salute e lavoro: le lotte delle operaie tessili reggiane tra anni Sessanta e Settanta

Genere, lavoro e cultura tecnica tra passato e futuro

Genere, salute e lavoro: le lotte delle operaie tessili reggiane tra anni Sessanta e Settanta

A Reggio Emilia tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, le lavoratrici industriali ammontavano a circa 15.000, in larga parte impiegate nell’industria del tessile-abbigliamento. Si trattava per lo più di giovani donne al loro primo ingresso in fabbrica. In alcune delle principali fabbriche del tessile-abbigliamento reggiano, come Confit, Bloch, Maska, Max Mara, si susseguirono scioperi e ripetuti episodi di intensa conflittualità a cavallo tra anni Sessanta e Settanta. Le rivendicazioni operaie riguardavano temi come l’aumento dei salari, la salute e la sicurezza in fabbrica, i tempi e ritmi di lavoro, il cottimo e, in casi come la Max Mara, riconoscimento delle organizzazioni sindacali e dei contratti nazionali di lavoro del settore.

Alla Emiliana Confezioni, azienda del Gruppo Max Mara con sedi a Novellara, Boretto e Casalmaggiore, il Consiglio di Fabbrica in collaborazione con il Centro di Medicina del Lavoro di Guastalla, promosse un’indagine sulle condizioni di lavoro. Dall’inchiesta, condotta su 36 operaie delle 65 complessive, emergeva un quadro preciso dei principali fattori di rischio legati all’ambiente industriale. In particolare, venivano segnalate: le elevate temperature nel reparto stireria; la quasi totale assenza di illuminazione naturale; l’eccessivo rumore delle macchine speciali; l’abbondante presenza di polvere di stoffa; l’insufficiente ventilazione nel capannone; l’obbligata posizione “seduta” senza adeguate pause. Dai fattori di rischio sopra elencati derivavano, in primo luogo, disturbi ostetrico-ginecologici, gastroenterici, disturbi agli occhi e alla vista, nonché all’apparato muscolare e articolare; tutte le intervistate mostravano, inoltre, stati d’ansia e irritabilità.

Come nel caso della Emiliana Confezioni, le piattaforme di lotte vennero spesso redatte a seguito della realizzazione di auto-inchieste o richieste di intervento per verificare le condizioni igieniche dell’ambiente industriale. Nel caso della Confit, nella richiesta al Comune di Reggio Emilia effettuata nell’aprile del 1968, le 400 operaie denunciavano a chiare lettere l’intollerabilità dell’ambiente saturo di umidità d’estate e freddo d’inverno. A ciò si aggiungevano condizioni “indescrivibili” dei servizi igienici. Nella piattaforma unitaria promossa dalle federazioni reggiane di Filtea-Cgil, Filta-Cisl, Uila-Uil, in preparazione dello sciopero delle lavoratrici delle confezioni in serie, compariva espressamente “l’istituzione di strumenti per la prevenzione e il controllo della salute”.


Bibliografia

  • M. G. Ruggerini, L. Montanari, R. Salmini, Non sei pagata per pensare: una inchiesta alla Max Mara rivela uno dei tanti volti del made in Italy, Datanews, Roma, 1988.
  • R. Salmini, C.Iori, M. Nasi, Senza stile: una fabbrica del 2000 ferma all’800, pubblicazione Filtea-Cgil, Reggio Emilia, 1988.
  • E.Betti, T. Cerusici, La salute in fabbrica: le lotte delle operaie nel lungo Sessantanove in Marco Grispigni (a cura di), Quando gli operai volevano tutto, Manifestolibri, Roma, 2019, pp. 111-128.
  • E. Betti, C. De Maria, Genere, salute e lavoro dal fascismo alla Repubblica. Spazi urbani e contesti industriali, Bradypus, Roma, 2020.